da “La Voce del Popolo” di Fiume
di Maura Favretto
Mini tournée ad Umago e Buie dello spettacolo «Motel Babel» della compagnia Petit Soleil, per la regia di Aldo Vivoda. La trasferta è stata realizzata dall’UPT
Le discipline religiose e filosofiche che credono nella reincarnazione e nella vita nell’aldilà, dicono che una delle cose più difficili da fare, è convincere uno che è appena deceduto che effettivamente è morto, nel senso che la vita con tutte le sue tumultuose abitudini e sensazioni sembra continuare come per inerzia, ma l’assenza di sensi crea una battuta d’arresto.
Questa sembra essere anche la premessa dello spettacolo “Motel Babel” presentato a Umago e Buie dalla compagnia teatrale Petit Soleil con la regia di Aldo Vivoda. Il motel del titolo è il luogo di passaggio, come tutti i motel, però sospeso tra cielo e terra, dove cinque buffoni, ognuno con il suo ruolo alberghiero (il portiere, la cuoca, il ragazzo dell’ascensore, la cameriera ai piani e il facchino) fanno da cuscinetto ai nuovi trapassati che stanno per arrivare: una starlet americana, un operaio brasiliano, una guerrigliera sudamericana e un imprenditore italiano, tutti ancora saturi delle loro vite appena finite e sempre imbrigliati nelle loro passioni, che a poco a poco dovranno prendere atto e adattarsi alla loro nuova situazione.
Un susseguirsi di emozioni e coreografie
Lo spettacolo non racconta una storia, ma presenta delle situazioni che, soprattutto all’inizio spiazzano lo spettatore. Ma man mano che i quadri si succedono sul palcoscenico, qualcosa si smuove anche in platea e il pubblico sembra rinunciare a perseguire il filo logico e comincia a lasciare aperte nuove vie di comprensione, passa dalla mente al ventre, smette di cercare un senso e si apre al sentimento.
Il fluire delle emozioni acquisisce progressivamente intensità e, attraverso coreografie, mimiche, canzoni e stupefacenti cambi di costume, i nuovi arrivati passano dallo spaesamento iniziale, alla discesa all’inferno dove gli istinti e le espressioni si fanno violenti, brutali e a momenti osceni, quasi a riflettere le brutture interiori umane irrisolte, quelle che neanche la morte cancella, e poi anche in paradiso dove i desideri più profondi e inconfessati prendono forma e reclamano di esistere, seppur anche per un attimo soltanto.
E poi c’è la graduale presa di coscienza della paradossale situazione di essere un neo-deceduto, con gli appetiti ancora forti ma incapace di mangiare (la scena della cena è bellissima), che sente l’amore sbocciare e fluire impetuoso in un mondo in cui non valgono più le regole del corteggiamento e dell’accoppiamento terrestri. Per arrivare all’accettazione della propria condizione che verrà incapsulata nell’ultimo frammento di biografia, quella che ha posto fine a ognuna delle loro vite e che rappresenta il momento più concreto di tutto lo spettacolo.
Libertà e fluidità
Una cinquina di attori interpreta sia i ruoli dei buffoni che quelli dei neo-morti e sono tutti bra-vis-si-mi. Quattro giovani artisti eccezionali: Margherita Cipriano, Matteo Ribolli, Valentina Sanvido e Raffaele Antonio Tarditi che si muovono sul palco insieme alla loro guida e maestro Aldo Vivoda, solido come un annoso ulivo di quell’Istria che gli ha dato i natali e alla quale si ripresenta ricco di tutte le esperienze acquisite in Francia e nel mondo.
Lo spettacolo nasce a Parigi negli anni ‘80 e viene riproposto a più riprese nel corso dei decenni. Dai primi anni Duemila viene presentato in Italia, però ha viaggiato in tutto il mondo riuscendo a comunicare con pubblici diversissimi, tra cui quello giapponese. La sua lunga vita internazionale si deve proprio al fatto non essere basato su un testo definito ma di avere la proteica fluidità della comunicazione gestuale, del movimento, della voce, che rendono con immediatezza i quadri scenici.
Inoltre, come ci ha raccontato Aldo Vivoda dopo la rappresentazione, la mancanza di struttura fissa permette di introdurre a piacere altri personaggi da aggiungere alla cacofonia della Babele del Motel. Per cui ad un certo punto, perché non avere anche un vietnamita, oppure un prete o inventarsi un personaggio tout court?
Una pièce coinvolgente
L’impressione finale dell’esperienza teatrale potrebbe riassumersi con le parole di alcuni spettatori della serata umaghese “non ho capito tutto, ma mi è piaciuto”, che forse è proprio quello che si voleva ottenere. Nel corso della rappresentazione Aldo ha improvvisato e invitato sul palcoscenico la giovanissima Ginevra Calabrò che, in prima fila, seguiva lo spettacolo insieme alla mamma Erika. Seppur visibilmente impaurita e intimorita, Ginevra ha coraggiosamente accettato l’invito e seguito le indicazioni che il “clown” le dava riguardo allo spostamento di alcuni arredi scenici, accogliendo infine i meritati applausi con intensa serietà. Sia per lei che per gli altri in sala è stata un’esperienza da ricordare.
Le due serate sono state promosse dall’UPT con il contributo della Regione Autonoma Friuli Venezia Giulia. Il cast ha caldamente ringraziato l’Ente triestino. Per la serata ad Umago si ringrazia anche Festum per la location e il supporto tecnico.