da “La Voce del Popolo” di Fiume
di Nicole Mišon
Scrittrice, attrice, presentatrice, conduttrice radiofonica, Rosanna Bubola è tutto questo e molto di più… Volto noto della CNI, famosa soprattutto per le sue performance recitative assieme al Dramma Italiano di Fiume e per le sue molteplici conduzioni di eventi e manifestazioni fondamentali per la salvaguardia della nostra cultura e identità, una su tutti il Festival dell’istroveneto. Per un lungo periodo ha fatto la spola tra Buie, Fiume e Trieste, mentre attualmente la possiamo ascoltare il sabato mattina nella trasmissione “Calle degli orti grandi” di Radio Capodistria.
Rosanna Bubola ha partecipato alla 56.esima edizione del Concorso d’arte e di cultura “Istria Nobilissima” aggiudicandosi il premio “Osvaldo Ramous” nella Categoria Letteratura, Sezione Prosa in lingua italiana, con il testo “Madre”. Il suo lavoro è stato descritto dalla giuria con le seguenti parole: “una personalità che si vede nel suo doppio e che ritrova la sua unità attraverso una catarsi privata e famigliare; racconto condotto con ottima capacità narrativa”. Non si tratta della sua prima partecipazione. Infatti, Bubola potrebbe definirsi un’habituée della competizione, a cui ha preso parte moltissime volte, riscuotendo grandi successi. “Non ricordo a quante edizioni ho partecipato – ammette –. Nel corso degli anni ho inviato i miei lavori in varie categorie: Letteratura, Poesia, Teatro e addirittura in quella dedicata ai giovani con la mia tesina di maturità. Le persone del nostro territorio hanno tanti talenti, quindi perché non usarli?”
Il linguaggio come sfogo
Come sceglie quale linguaggio utilizzare e in quale campo partecipare?
“In base alle necessità del momento. Il teatro era uno sfogo in una direzione, i racconti in un’altra. Le poesie rappresentano le tribolazioni d’amore, quindi ti dirigi verso questo genere letterario, non sono nemmeno scelte, ma arrivano in modo naturale”.
Lo stesso discorso vale anche per l’ultima fatica narrativa?
“Questo era l’unico testo che avevo dopo una pausa, ho avuto un blocco della scrittura. L’ultima volta avevo vinto qualche anno fa con un tema completamente diverso che mescolava il dialetto con una storia raccontata da mio papà. Quest’anno sentivo il bisogno di sfogarmi, perché i miei testi nascono sempre da un’arrabbiatura tremenda. Per l’ennesima volta mi è stato chiesto ‘Quando ti farà fioi?!’, il che a quasi 49 anni è ridicolo, ma è una cosa che ti fa male e ti accompagna per tutta la vita. Le persone entrano prepotentemente nella tua intimità ed è fastidioso. Nessuno ha il diritto di chiedere a qualcuno mille volte quando farà dei figli, quando si sposerà. Infatti nel mio testo dico ‘mi hanno consegnato un manuale e l’ho restituito’. Il manuale canonico prevede: sii una brava figlia, studia, vai all’università, trova un lavoro, sposati, fai figli. Questa non è la mia strada”.
Nel suo testo affronta un tema molto attuale e delicato, la maternità, analizzando molte sue sfaccettature. La società ancora oggi fa pesare alle donne il loro non essere mamme. Lei come la vede?
“Il testo rappresenta una risposta anche nei confronti di tutti coloro che ti dicono: ‘Non sei mamma, non puoi capire’. Forse non posso capire determinati meccanismi o sentimenti, ma posso capire le dinamiche e poi alla fine a volte parlo meglio io con gli adolescenti che i loro genitori. Certo, la mia è una visione esterna, quindi più obiettiva e distaccata. Non puoi avere nemmeno la tua opinione, in un certo senso vieni scartato dalla società, demonizzato perché non hai figli. Sono una donna, ho una vita, siamo nel 2024…”.
Dal testo emerge in modo chiaro come la letteratura ci circondi e come qualsiasi avvenimento possa diventare arte, anche degli argomenti così delicati e privati.
“Tutto influisce sulla scrittura, perché in essa entra la vita, gli episodi, la cronaca, le cose che non riesco a capire nel XXI secolo: gli obiettori di coscienza negli ospedali, il patriarcato. La vita è letteratura. Per me la scrittura è terapia, butta fuori tutte le cose negative, aiuta a elaborare i pensieri e a fare determinati ragionamenti. La sua lentezza mi aiuta tantissimo, magari parto arrabbiata e poi ragionando arrivo a un’altra analisi di ciò che succede. Tutto quello che ho scritto è autoanalisi”.
“Madre” è uno scritto in cui sono presenti alcuni riferimenti autobiografici. Non le fa paura aprirsi tanto al pubblico?
“La bellezza sta nel fatto che i lettori non sanno quello che è vero e quello che non lo è. Io racconto storie, ma non è detto che parli sempre di me stessa. C’è una parte di me, certo. Non ho paura di questo, perché sto puntando sempre di più alla sincerità della vita. Io sono così, con tutti i miei difetti e quindi perché non mostrarlo. Certe cose non le scriverò mai, ma altre sì. Alla fine diventa anche la storia di altre persone che si identificano nei miei racconti. Sono storie universali che partono dal personale”.
L’importanza delle parole
Nel testo insiste molto anche sull’importanza dei vocaboli e del loro significato. Quanto sono importanti le parole?
“Amo le parole, le adoro… Molte volte le usiamo con il significato sbagliato, magari quello moderno e non andiamo mai all’etimo. Io invece mi metto a scavare i significati, fino a raggiungere quello originale. Allo stesso tempo mentre scrivo spero di essere semplice e di non perdermi in giri di parole, azione difficilissima. A volte anche alla radio mi capita di usare una parola magari desueta, ma lì non ho il tempo di pensare a quale sia il termine migliore da utilizzare”.
Il suo racconto è diviso in due parti, rappresenta due madri diametralmente opposte. Se il primo gruppo è intento a lodare i pargoli come fossero dei piccoli geni, la seconda figura invece odia la figlia. Perché ha voluto proporre un contrasto così forte?
“La seconda mamma non ha fatto una scelta. La scelta di quella persona sarebbe stata l’aborto e quindi odia quella bambina che le ha bloccato la vita. Anche questa è una realtà, queste cose succedono ed esistono anche tali figure materne. Semplicemente non tutte la mamme sono fatte per esserlo. In tutto il testo ricorre l’imperativo ‘scegli!’. L’inconscio della protagonista è quello che sceglie e lei lo annebbia costantemente, perché a un certo punto della vita si arriva a un momento di non scelta. Questa madre che si è trovata incinta giovane e non ha abortito ma ha creato da manuale la famiglia perfetta e ora si ritrova a odiare sua figlia. Infatti, si è ricreata un nucleo protetto in cui si trova bene, mentre la ragazza è un elemento di disturbo. Nella vita capita, soprattutto quando i figli crescono e sviluppano un’identità forte: un adulto davanti a un altro adulto che non condividono né il modo di vivere, né le scelte fatte, né altro”.
Le sue opere si potrebbero definire una fotografia della realtà…
“Osservo ciò che mi circonda e poi ne scrivo. Spesso trovo coppie in cui sembra che la donna sia quella che accudisce i figli e che il marito porti a casa la paga, ma non si preoccupi molto di seguire la crescita di queste creature. Tante volte gli uomini sono tagliati fuori, così come esistono papà molto coinvolti. Fa parte di quel retaggio patriarcale che è ancora insito nella nostra società. La moglie è sua, da quel punto di vista è possesso, però a lei viene delegato il compito dei figli, della casa e della famiglia. Purtroppo sono degli stereotipi superati che esistono ancora nella nostra società e lo vediamo attraverso le violenze. Il testo è pieno di stereotipi, perché non riesco a capirli… Ho sempre sognato che se avessi avuto una famiglia ci sarebbe stato un coinvolgimento pari da parte di entrambi. Ho avuto un papà molto presente nella mia vita, non era staccato dalle mie cose, anzi per me è stato un confidente, con tanto di scontri, però era partecipe alle decisioni”.
Da una parte descrive questi papà quasi tagliati fuori dalle dinamiche familiari, dall’altra però sulle donne viene esercitata molta più pressione, non solo all’interno della casa, come lo spiega?
“Le donne hanno addosso tutto il peso della famiglia e poi si ritrovano a combattere contro i modelli proposti dalla società: non va bene se sei troppo magra, ma nemmeno se sei grassa, non sia mai che una donna lavori, ma se poi rimane a casa si sente dire di non fare niente tutto il giorno. Quello che mi fa ancora più male è la cattiveria delle donne nei confronti delle altre donne. L’uomo purtroppo nelle situazioni di separazione ha l’impeto della possessione per cui arriva a dei gesti drastici come l’omicidio. Ma la donna quando si mette in testa di ferirti lo fa con cura per anni e anni e riesce ad avere una cattiveria mirata che è incredibile, ti massacra. Il genere femminile è anche questo: noi possiamo essere le persone più buone del mondo ma abbiamo anche la consapevolezza della cattiveria. Sia chiaro: difenderò sempre le donne, però ammettiamo anche che sappiamo sviluppare crudeltà, odio e altri aspetti bui, perché siamo fatte di sfaccettature positive e negative. Nascondendo i nostri lati peggiori non concludiamo niente; accettiamoli e cerchiamo di migliorarli”.
La solidarietà femminile
Secondo lei esiste la solidarietà femminile?
“Ho amiche donne e siamo solidali tra di noi, ma sono riuscita a raggiungerla solo con amiche dai caratteri forti e strutturati: persone che non provano invidia. La solidarietà deriva da una felicità per l’altro, deve esistere un sentire comune e non deve esserci invidia. Le donne sanno essere invidiose, per fortuna ne conosco alcune senza questa pecca”.
Quali fattori fanno sì che al giorno d’oggi ci sia ancora così poca solidarietà femminile?
“Purtroppo la frustrazione porta all’invidia, se imparassimo a non paragonare le vite e i successi, sarebbe più semplice. Ognuno ha il suo percorso e i suoi traguardi da raggiungere. Per essere felice per gli obiettivi degli altri non devi avere frustrazioni. L’ignoranza mi fa paura perché la sua forza, schermata dai social, sta dilagando. L’odio gratuito che ne scaturisce porta però a problemi reali, a far suicidare persone, a far soffrire nella vita. Non ce ne rendiamo conto perché sembra un gioco virtuale. Non abbiamo più empatia e questa è una cosa che mi manca tantissimo nel mondo d’oggi. Le emozioni sono diventate piatte, l’indifferenza dilaga”.
Come ci si difende dall’indifferenza?
“Cercando di imparare il più possibile; mi nutro di libri, leggo di tutto, anche cose con cui non mi trovo d’accordo. La conoscenza ci aiuta perché ci dà la possibilità di affrontare la paura. Grazie ad essa si ha meno timore e si possono scegliere gli attacchi da scartare, si impara a riconoscere le situazioni e alcune non sono degne della nostra energia. L’essere umano è selettivo: sono giunta alla consapevolezza che non devo frequentare chiunque. Mi difendo anche con la solitudine, sto bene da sola”.
Per concludere ci può dire quali sono i suoi progetti futuri?
“Ho tanti progetti per il futuro, ma in realtà sono loro a scoprire me, non si direbbe ma ho un’indole pigra e per fortuna questi progetti mi trovano. Mi piacerebbe ritornare in teatro. Il palco mi manca ed è come se mancasse una parte di me. Perché restare incompleta?”.