da “La Voce del Popolo” di Fiume
di Stella Defranza
Bruno Bontempo è stato premiato «per la resa astratta e metrica con il mezzo fotografico di uno scorcio paesaggio istriano». In un’intervista racconta la sua passione per la fotografia nata durante i viaggi fatti in Paesi lontani
Qualche settimana fa sono stati pubblicati i nomi dei vincitori della LVI edizione del “Concorso d’Arte e di Cultura Istria Nobilissima” e tra i numerosi nomi di scrittori, artisti, giornalisti, fotografi, musicisti e professionisti di altri profili, nella categoria “Arti visive – Premio Romolo Venucci”, sezione Fotografia, il primo premio è andato a Bruno Bontempo, già giornalista della nostra Casa editrice Edit. La giuria ha scelto di premiare sei fotografie intitolate “Calanchi di Sterna”, “per la resa astratta e metrica con il mezzo fotografico di uno scorcio di paesaggio istriano”. Abbiamo parlato con Bontempo per chiedergli non solo come gli sia venuta l’idea di immortalare questo dettaglio del paesaggio carsico della penisola istriana, ma anche com’è nata la passione della fotografia.
Quante volte ha vinto al concorso «Istria Nobilissima»?
“Non saprei esattamente, credo che abbia vinto il primo premio a tre edizioni circa, ma devo dire che ho partecipato a molte edizioni a partire dai primi anni Novanta e fino a oggi e i secondi premi e le menzioni onorevoli non sono mancati”.
Ha partecipato sempre nella sezione fotografia?
“A parte un anno che ho vinto il premio giornalistico ‘Paolo Lettis’, per il resto ho sempre candidato solo fotografie a ‘Istria Nobilissima’ e non testi”.
Com’è nato l’amore per la fotografia?
“All’inizio la fotografia per me era un hobby legato ai viaggi. Quando ho iniziato a viaggiare in Paesi più lontani e a fare trekking in montagna, come ad esempio sull’Himalaya, in India o sul Kilimangiaro, in Africa, nel 1985, venendo a contatto con ambienti, luoghi e genti diversi, tutti ovviamente bellissimi, ho sentito il bisogno di immortalare queste immagini”.
I temi delle sue fotografie sono sempre legati alla natura?
“Ho sempre amato i dettagli della natura, in particolar modo i fiori. Amo i fiori un po’ insoliti, ma non disdegno nemmeno quelli che crescono da noi. In secondo luogo sono molto interessato alla gente. Mi piace fotografare le persone con un piccolo teleobiettivo in modo da fare sempre foto ‘rubate’, perché non mi piacciono le persone in posa. Il mio modus operandi potrebbe venire paragonato a una candid camera! (risata) Mi piace cogliere la gente nel loro ambiente e farlo di sorpresa. È una cosa che faccio anche con i miei amici, perché mi piace la naturalezza e la spontaneità di questi scatti”.
Un dilettante che ama la spontaneità. Come si è evoluta la fotografia in tutti questi anni?
“Fino a una quindicina di anni fa ho usato una macchina fotografica analogica, ma purtroppo l’analogico ci ha tradito, perché non ci lascia più la possibilità di svilupparlo ulteriormente. Piuttosto che stampare le foto io ho sempre preferito le diapositive. Innanzitutto sono più facili da proiettare e spesso mi sono dedicato a presentare le mie diapositive anche alla Comunità degli Italiani di Fiume e in Istria. Queste serate davano grande gioia, perché le immagini si potevano vedere ingrandite, i colori erano molto vivi, perché c’era la luce dietro. Però, d’altra parte, la diapositiva era una grande sfida perché non sopportava correzioni. Quello che era scattato restava così, non esisteva un negativo che in fase di sviluppo si potesse correggere in quanto a luminosità, tagli o altro. Le diapositive venivano sviluppate nei laboratori dell’Agfa a Bonn e Vienna, ma anche in Svizzera e in Belgio. L’Agfa presentava sempre colori più caldi rispetto alla Kodak o altre compagnie giapponesi”.
Potrebbe definirsi un fotografo?
“Devo dire che io mi reputo un assoluto dilettante e non ho mai fatto nemmeno un corso di fotografia. Potrei definirmi autodidatta perché ho iniziato a fotografare in maniera spontanea e pian pianino sono entrato in questo mondo. Ovviamente ho sempre cercato di migliorare. Anche mentre lavoravo alla ‘Voce’, negli anni Ottanta, accettavo volentieri i suggerimenti dei colleghi fotoreporter, come ad esempio Branimir Turkalj, il quale mi ha spinto a occuparmi di questo. Il resto è venuto con l’esperienza”.
Non ha mai pensato di seguire un corso?
“Tantissime volte. Anche il corso di Lucio Vidotto e Željko Jerneić (rispettivamente giornalista e fotoreporter del nostro quotidiano, ndr) mi ha un po’ stuzzicato, ma diciamo che alla fine la fotografia è un passatempo marginale e do la precedenza a altri impegni. Ogni tanto mi vengono dei dubbi di carattere tecnico, ma alla mia età penso che sia giusto dare la precedenza ai giovani”.
Qual è la differenza tra l’analogico e il digitale?
“Sicuramente il digitale è più economico e poi permette migliaia di scatti. Nella fotocamera analogica la pellicola aveva 36 fotografie e quando andavamo un mese in viaggio, come ad esempio in Cina, dove siamo stati un mese e mezzo, dovevamo fare attenzione a non bruciare subito tutte le foto. E non era facile perché tutto era nuovo ed emozionante. Dopo dieci giorni restavo senza rullini e poi dovevo comprarne dei nuovi. Questo era sicuramente uno svantaggio dell’analogico. In compenso c’era sempre quell’aspettativa di vedere finalmente le fotografie stampate. Ora uso una macchina digitale e visualizzo le fotografie sul computer, apportando cambiamenti minimi alla luminosità. Non lavoro con Photoshop come tale. Negli ultimi due anni devo dire di aver iniziato a sperimentare un po’ con diversi tipi di fotografie, come ad esempio il bianco e nero”.
Nervature sottili e impercettibili. In questa sua produzione rientrano anche gli scatti di «Calanchi di Sterna»?
“Sì, anche queste sei fotografie premiate sono state realizzate in bianco e nero. Ovvero, si tratta di foto fatte a colori, ma trasformate al computer. Per chi non lo sapesse calanco è un solco d’erosione nel terreno, stretto e profondo, con molte ramificazioni. Sono anche detti onde di pietra perché sembrano delle dune dell’Istria, dette anche ‘deserto dell’Istria’. Si tratta di marne con nervature gialle o grigie, a seconda dei minerali che contengono. Questa zona si trova nei pressi della Chiesa di San Michele, a un chilometro dal paese di Sterna, che si trova andando da Portole verso Buie. I colori delle nervature per me erano meno importanti delle forme di queste rocce, motivo per cui ho optato per il bianco e nero. Le forme mi avevano impressionato molto di più, anche perché le nervature sono molto sottili e impercettibili”.
Come le è venuta l’idea di scegliere questo tema?
“L’idea mi è venuta quasi per caso. Sono andato lì pochi mesi prima della scadenza del concorso e visto che cerco sempre di proporre temi legati all’Istria, dato che il concorso si chiama ‘Istria Nobilissima’, ho pensato bene di inviare queste foto. L’Istria è una fonte inesauribile. Ne sono innamorato e mi piace percorrerla a piedi per quanto sia possibile, perché andando a piedi ci tratteniamo di più in ogni punto e si vedono le cose con occhi diversi. Quest’area dell’Istria dei calanchi è molto visitata e quando ci sono stato l’ultima volta ho visto che si preparavano anche a collocarci una zipline. Devo dire che la cosa mi addolora perché se il turismo di massa interesserà la zona, ci sarà un’invasione!”
Ha dei progetti per il futuro?
“Ho molte idee e qualche progetto. Sto lavorando per recuperare alcune foto fatte con stampe da dia. Adesso queste foto sono improponibili sia per il fatto che non sono ritoccate che per i formati. Sto cercando di digitalizzarle e aggiungere qualche foto nuova per fare un mix originale da proporre. Per me è molto importante non solo esporre le mie foto, ma anche visitare le gallerie e vedere le foto degli altri. Mi confronto con grande gioia e anche i concorsi sono importanti perché ci permettono di farci un’idea di come vengono giudicate le nostre foto dagli altri. Devo dire che io sono molto severo nei miei confronti, ma mia moglie mi aiuta nella scelta delle foto da presentare al pubblico”.