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da “La Voce del Popolo” di Fiume

di Ornella Sciucca

A colloquio con il poeta, scrittore e giornalista Giacomo Scotti, stando al quale la poesia è la migliore medicina che prolunga la vita e addolcisce i dolori della vecchiaia

“Addio al mare” è il titolo della delicatissima silloge firmata dal poeta, scrittore e giornalista Giacomo Scotti, fruttuatogli il primo premio nella Categoria Letteratura, Premio Osvaldo Ramous, Sezione Poesia in lingua italiana, nell’ambito della 57esima edizione del Concorso d’Arte e di Cultura “Istria Nobilissima”. L’abbiamo incontrato nella sua casa sommersa di libri, riviste e giornali, la cui vista esplode sul mare, da sempre motivo di ispirazione e riflessione, per parlare, di fronte a un caldo caffè turco, delle bellissime poesie, premiate dalla giuria in quanto “Meditazione di ispirazione senile accompagnata da immagini ed emozioni sfumate, fuse in un orizzonte di inquieta nostalgia”.

Come si deduce dalle raccolte da lei pubblicate finora, più di trenta opuscoli, nella sua creazione letteraria la poesia è sempre al primo posto. Come mai?
“Non a caso il primo concorso letterario promosso nel lontano 1949 dal cosiddetto Fronte della gioventù nel territorio istro-quarnerino fu un invito alla poesia, al quale parteciparono giovani di tutte le nazionalità, non soltanto croati o serbi. Ebbene, il primo premio venne assegnato a due italiani, Sergio Turconi e a me. Da allora aderii a tutti i concorsi letterari, soprattutto a ‘Istria Nobilissima’, che ci congiunge all’Italia, preferendo la lirica. Lo testimoniano i diplomi e gli altri attestati che coprono tutte le pareti e riempiono alcuni armadi della mia casa, i quali superano il centinaio. Ad essi si aggiunge una trentina di premi conquistati in Italia e in alcuni altri Paesi europei. Per noi, italiani rimasti o arrivati nell’ex Jugoslavia, da Fiume a Capodistria, la cultura, e in particolare la produzione letteraria e artistica, sono la corona che ci esalta fra tutte le minoranze. Danziamo, suoniamo, cantiamo, ma soprattutto creiamo opere, da Nelida Milani a Bruno Paladin, che sono il nostro orgoglio”.

Che cosa rappresenta per lei la poesia? Quale valore le attribuisce?
“La poesia è la chiave e il rifugio della libertà. Per chi, come me, è considerato da alcuni un estraneo, un forestiero nella terra che lo accoglie da 77 anni, per uno che porta sul groppone troppi decenni come lo faccio io, la stessa è la migliore medicina che prolunga la vita, addolcisce i dolori della vecchiaia. Gli ostacoli, le amarezze, gli scontri sono stati numerosi e lo sono soprattutto nella tarda età. Ebbene, a mettermi al riparo, a difendermi, è sempre la penna della poesia. Lirica che viene ‘promossa’ dai figli, dai nipoti e dai pronipoti da me disseminati da Fiume a Pola, nonché perfino in Finlandia. Poesie e racconti che scrivo anche per loro”.

Nelle liriche inviate al concorso non vi sono versi legati alla terra natale. Ci spiega questa scelta?
“Forse per non soffrire troppo nell’ultimo tratto del cammino. Sommando, però, l’intera produzione letteraria, sia nella prosa che nella poesia, si può notare che la stessa mi ha spesso legato all’infanzia e alla prima giovinezza lontane, ovvero alla terra natale che lasciai con dolore all’età di diciotto anni, emigrando sulla sponda orientale dell’Adriatico, nel Golfo del Quarnero. Nel bagaglio della mia poesia sono numerosi i componimenti che ricordano il Paese natale, la terra lontana ma sempre vicina. È una poesia che mi ha permesso di dialogare ancora, a lungo, con il nido della vita, con la gente rimasta all’ombra del Vesuvio, che ha riunito due sponde, cieli e gente tra loro lontane, ma ecco, affratellate anche con la poesia”.

Quali sono i principali argomenti della sua lirica?
“In tutte le sillogi pubblicate nella mia via, uno dei ‘personaggi’ immancabilmente presenti è il mare, che incontriamo anche nel ciclo premiato a quest’ultima edizione di ‘Istria Nobilissima’. Lo dice lo stesso titolo, ‘Addio al mare’, in quanto è stato il mio compagno e suggeritore nella gioia e nel dolore e vi ci ho vissuto accanto per tutta la vita. Un’altra caratteristica della mia poesia è che in essa si rispecchia la duplicità del vivere e del mio essere. Appartengo a due terre, a due mari, mi moltiplica l’amore che porto ad ambedue e alle genti con le quali ho vissuto, parlando più lingue. Anche questo mi ha prolungato la vita. Non va tralasciata la constatazione che le voci poetiche della piccola Italia in Croazia e Slovenia testimoniano la sua presenza e vitalità. Io ne faccio parte da oltre settantasei anni. Il loro e mio – a dirlo con Nelida Milani – ‘è un viaggio attraverso le ideologie, le utopie, la politica e la cultura, ma soprattutto un atto di fede nella poesia quale intramontabile necessità umana’. Per quanto mi riguarda aggiungerò che nelle mie opere ho sempre sfiorato il ‘cosmopolitismo fiumano’ di chi, arrivato da qualunque parte, si scopre parte di questa terra. E questa forte appartenenza a quella di adozione è presente in moltissime mie liriche”.

Al tramonto del sole e della vita
Da vecchio nulla più posso cambiare,
ogni gesto è difficile e perfino
è un dolore sognare
come invece facevo da bambino.
Ma ogni tanto c’è ancora un cielo chiaro,
a volte mi sorride
l’immancabile mare.
Alla fine della giornata,
ammirando il tramonto del sole,
raccolgo le ultime luci e ne faccio
una poesia da donare.